Canti Gregoriani 4 - Monastero di Sorres

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DOMENICA IV di quaresima
2200327
 Il Vangelo di oggi si conclude con un invito che sembra irreale e beffardo: fare festa e rallegrarsi. Ancora  sotto il bombardamento crudele del Covid, mentre si ha l’impressione di essere strangolati dalla morsa di  una guerra fratricida? Come si permette la Chiesa di distogliere la nostra attenzione dal momento presente  e trastullarci con una fiaba fantasiosa a lieto fine? E se non fosse un’illusione? Negli ultimi decenni che cosa è realmente accaduto intorno a noi nella società europea, che cosa è accaduto in ciascuno di noi?  Malattie tremende come la tubercolosi e la poliomielite sono state debellate; le palazzine dei grandi  sanatori sono state trasformate in residenze per le vacanze godute in libertà. La vita si è allungata e un  certo benessere ha dato a tutti la possibilità di uscire dalle caverne dell’analfabetismo e della miseria nera.  Abbiamo assaporato la brezza rinnovatrice di un mondo nuovo e migliore.  Poi qualcosa è andato storto.  La sobria ebbrezza dello Spirito è stata dispersa da altre correnti che presto si sono rivelate per  quello che di fatto erano: non vita, ma morte; non luce, ma tenebre; non benessere, ma disperazione; non  realtà, ma illusione; non pienezza vitale, ma vuoto stracolmo di angoscia...  Poco per volta il Male è riuscito a prevalere con l’inganno: ha sollecitato le pulsioni negative e ha  convinto che ormai si stava realizzando il sogno di sempre: l’uomo ha abbandonato lo stato di schiavo e  finalmente è assurto a dio. Ora può rivelare la sua potenza senza limiti. Purtroppo. Nel male. Questo  vortice di idolatria ha ingoiato, stritolato e polverizzato tutto. Così è stato facile modellare una nuova  società, come se si trattasse di fabbricare i sanpietrini ‘artificiali’. Il risultato si è progressivamente rivelato in tutto il suo orrore. È stato il capovolgimento dei  valori: i vizi sono diventati le nuove ‘virtù’ da ostentare e di cui vantarsi in un contesto sempre più cinico,  condizionato dai nuovi parametri i cui punti di riferimento sono l’invidia, l’ignoranza, la corruzione, la  violenza e altre ‘nobili’ disposizioni d’animo alimentate dalla droga, sostenute dalla criminalità, giustificate  dall’ignoranza. Il trionfo dell’uomo-dio rivela ciò che siamo diventati nel processo di mutazione genetica: da persone libere siamo divenuti robot programmati dai tiranni di turno. Così siamo finiti miseramente su un altro pianeta e fuori di noi stessi. Vaghiamo senza meta e  finiamo sballottati qua e là, sospinti nel gregge e nella mandria disordinata che rischia di calpestarci. Come  è successo al figliol prodigo. La sua storia non è una fiaba strappalacrime. La sua storia si è aggiornata  nella nostra vita. Speriamo di racimolare le poche forze sane che ci rimangono, le scintille dell’ essere  profondo nascoste sotto la cenere dei nostri fallimenti. Cessiamo di fissare la larva di noi stessi e volgiamo  lo sguardo fino a incrociare il volto del Padre. Il deificum lumen ci aiuterà a trovare la via del ritorno a noi  stessi, nel riscoprire chi realmente siamo: figli di D-i-o, chiamati a vivere nella purezza del cuore, nella  ricerca della verità, nella gioia di condividere il bello, il buono, la vita di Cristo, vero D-i-o e vero uomo.

La prima frase dell’introito ha un inizio straordinario che da solo soppianta tutte le spiegazioni tecniche. Con il suuo slancio trascina tutta la persona verso l’Alto. Chissà quanto e come hanno pregato i cantori che per primi hanno rivestito il testo profetico di Isaia 66. MARIUS SCHNEIDER, nel commentare una serie di maqamot, ha detto che talora, a circa metà del brano, si riduce il numero delle note e queste sono cantate in un altra maniera, un po’ più forti e più lunghe delle note che si trovano nei segmenti precedenti e successivi. L’osservazione del Maestro mi è stata confermata da JOSEF KUCKERTZ. Egli ha aggiunto che in India gli esecutori di raga solitamente cantavano ogni segmento/variazione con un unico respiro, qualsiasi numero di note fossero presenti. Il che comporta un’esecuzione un po’ più ‘lenta’ e un po’ più ‘forte’ quando le note sono poche, mentre sono cantate più ‘leggere’ e ‘veloci’ quando sono più numerose. La frase 2 Gaudete cum lætitia quasi d’istinto mi viene di cantarla con una dilatazione, quasi impercettibile, ma reale. È la parola di consolazione che ancora oggi ci conferma: è nell’amare Gerusalemme – e tutte le sue ‘presenze’ – che possiamo trovare la pace מלש
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    
Bruder Jako
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